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«Unità, giornale da Pulitzer» di Furio Colombo

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Userò le parole di Conrad in «Linea d’ombra» per dire come abbiamo vissuto all’Unità i giorni del G8 (il sanguinoso summit dei «grandi del mondo» a Genova, nel luglio 2001), e il furore che, a momenti, intorno a quell’evento e dentro quell’evento, si è scatenato: «Solo quando si alza il vento sai come condurre la nave».

GUARDA LE PRIME PAGINE DI QUEI GIORNI

Il primo titolo, venuto in modo quasi spontaneo nella riunione di redazione, dopo le prime telefonate dei nostri colleghi da Genova è stato: «Genova vuota, fortificata, invasa».
«Invasa» in quel momento voleva dire «occupata» da una immensa forza di polizia. Ma abbiamo deciso di usare una parola meno pesante perchè in quel momento tra i Ds c’era ancora divisione e incertezza: partecipare o no al «Social Forum» convocato da centinaia di organizzazioni giovani contro le armi, contro la guerra, contro il dominio della finanza, in difesa della natura e delle persone?

Quel giorno, nel mio editoriale, ho usato - per convincere i Ds a partecipare - tre esempi della recente storia americana: Bob Kennedy che, da ministro della Giustizia, si era schierato con Martin Luther King e il Movimento per i diritti civili nonostante i giudizi di condanna dello Fbi e delle polizie locali (1963); la convenzione democratica di Chicago, in cui buona parte dei delegati del partito era rimasta fuori dalla convention e si era unita in strada ai cortei dei giovani dimostranti contro la guerra in Vietnam (1968); il summit ambientalista di Rio del 1992 in cui il giovane senatore Albert Gore (poi vice presidente degli Stati Uniti) aveva guidato una delegazione americana diversa e contraria al presidente Bush, per dimostrare che anche gli Usa si opponevano all’«assalto alla Terra» della politica ufficiale americana.

Non è servito e non è bastato. Ben altri personaggi di primo piano, tra i Ds di allora, ritenevano che andare a Genova avrebbe screditato l’immagine di governo che - alcuni pensavano - era come una uniforme che non puoi dismettere senza perdere dignità, e non puoi indossare in luoghi indecorosi.

Però voi che leggete adesso vi rendete conto che stavamo correndo un rischio. L’Unità dava torto al partito, creando un caso politico e un caso professionale. È vero che noi non la intendevamo come un «dare torto», ma come il dare forza alla ragione che serpeggiava, niente affatto minoritaria, fra i Ds di allora: partecipare. È anche vero che molta illustre nomenclatura del partito, abituata a decidere in proprio, non l’ha presa bene. Pressioni no. Irritazione dura e isolamento si. Però a questo punto devo voltarmi indietro e, come sulla scena di un teatro, fare luce su ciò che avevo intorno per prendere decisioni come quelle che vi sto raccontando. Avevo accanto un condirettore giornalisticamente esperto ma anche più giovane e dunque più esposto al rischio di restare fuori dal lavoro.

Portava chiarezza politica sul cambiamento rapido e pericoloso del Paese che stavamo vivendo, e una ostinazione a fare argine insieme contro la devastazione della legge e la violazione continua della Costituzione. Avevo una redazione tra le migliori, le più tenaci e coerenti che un direttore di giornale può sognare, compresi i vice direttori, Landò, Spataro e Gianola, che sono ancora al lavoro (Landò adesso dirige) in questo giornale. C’erano diverse sfumature di rosso in quelle nostre poche stanze, ma la stessa qualità giornalistica. Tutti conoscevano la situazione: vendite buone abbastanza da farne un vanto. Ma anche sostegno Ds, perché il giornale aveva una storia, era nato molto più grande, in un Paese molto diverso. Noi dicemmo allora che era il miglior giornale politico. Ma pur sempre un giornale di partito.

A differenza del partito noi, nel giornale, non siamo mai stati divisi. E i giorni di Genova sono stati fra i momenti più difficili (c’entrava la polizia, la giustizia, la libertà e dignità di manifestare, le garanzie della legge, l’evento di morte del giovane Carlo Giuliani, un ministro degli Interni scandalosamente incapace, la presenza inspiegata di Gianfranco Fini nelle sale di comando durante i momenti peggiori, pestaggi cileni che hanno fatto il giro del mondo, episodi e persone che hanno violato tutte le leggi e disonorato il Paese, la comparsa, la furibonda violenza e la scomparsa, quasi senza arresti e senza condanne, dei misteriosi black block che ci hanno ispirato il titolo «300 mila sfilano in pace, mille distruggono tutto» (22 luglio 2001).

La compattezza del giornale e della sua redazione ha portato verso di noi amici che, con la loro presenza e testimonianza, hanno di colpo allargato autorità e spazio e interrotto il rischio dell’isolamento, nel mare di conformismo italiano. Il 20 luglio abbiamo in prima pagina, come editoriale, «Vivi nella città morta» di Mario Monicelli: «Sono arrivato a Genova l’altra sera e per ora ho visto solo una città morta. Per le strade non c’è nessuno, tutto è deserto, tutte le serrande sono abbassate».

Il giorno dopo il titolo dell’Unità è: «È accaduto il peggio, ucciso un ragazzo». Il commento è di Ettore Scola: «Mi è difficile raccontare la mia giornata a Genova proprio nel giorno in cui il movimento ha avuto la sua vittima. Anche perché, con la mia troupe, sono stato tutto il giorno chiuso nella “zona rossa” dove la sensazione era che fossero loro i prigionieri e gli sconfitti». Il 22 luglio il commento è di Citto Maselli: «All’arrivo a Genova mi aveva colpito la serenità severa del movimento. Quella serenità che ha dimostrato nella prima manifestazione, che abbiamo rivisto nel corteo di ieri nonostante gli scontri, gli attacchi alla folla pacifica. Poi improvvisamente sono comparsi i Black Block organizzatissimi provocatori...».

Accanto c’è il primo articolo sulla uccisione di Carlo Giuliani, la madre Heidi, il padre Giuliano, le scritte di carta che appaiono sui muri: si intitola «Piazza Carlo Giuliani» e lo firma Stefano Bocconetti
Il 23 luglio le notizie sono due: la morte di Indro Montanelli, che fino a quel momento aveva incoraggiato e sostenuto non poco Padellaro e me nell’avventura della nuova Unità (la striscia rossa di quel giorno è una sua frase «Abbiamo opinioni diverse. Ci unisce la preoccupazione per le sorti dell’Italia e per la qualità di questa sua classe dirigente») e il massacro nella scuola Diaz.

Padellaro e io abbiamo scritto insieme l’editoriale non firmato, raro per il nostro giornale: «In un Paese civile la polizia non irrompe nella notte in una scuola concessa dal comune di Genova e adibita a centro di accoglienza per i giovani del Genoa Social Forum senza un mandato della magistratura. Non bastona a sangue i ragazzi che dormono. Non ne manda all’ospedale 61, di cui 12 con ferite gravi. Non costringe gli altri a stare in ginocchio con le mani dietro la testa come se stessimo in Cile».

Naturalmente sapevamo che nessuno fa queste cose di sua iniziativa. Il sospetto su Fini era grande, e il titolo a piena pagina dell’Unità del 23 luglio era «Scajola ministro incompetente e pericoloso». Oreste Pivetta e Lidia Ravera raccontano gli eventi e le storie dei ragazzi con articoli che, in altri Paesi, avrebbero meritato premi giornalistici come il Pulitzer.

Ma quanto sia profonda la spaccatura del Paese laboriosamente intrapresa in quell’anno da Berlusconi e continuata quasi senza interruzione, lo dice Ettore Scola sulla prima pagina dell’Unità del 24 luglio: «Si è scritto che alcune presenze di politici, sacerdoti, medici, registi, attivi nella settimana del G8 a Genova, sarebbero omologabili ai collaborazionisti di mafia e responsabili di concorso esterno in terrorismo urbano (...). Colpevoli sopratutto Scola e Monicelli, andati a cercare a Genova un’altra “terrazza romana”. Non l’abbiamo trovata. Eravamo troppo impegnati, nelle vie e nelle piazze di Genova, a filmare le immagini e i suoni della più grande e più bella e più emozionante manifestazione giovane che si sia vista negli ultimi trent’anni nel mondo».

Ecco la striscia rossa di quel giorno: «Ho 65 anni e da 50 faccio il fotografo. Ho visto molta violenza nel mondo. Mai ho visto poliziotti e carabinieri italiani manganellare e prendere a calci giovani inermi e seminudi. Polizia così oltraggiosa io la ricordo in Cile e in Argentina. Vittoriano Rastelli, giornalista-fotoreporter, Roma».

Fatemi ricordare il titolo a piena pagina sopra la foto di una folla immensa che sfila a Genova: «Ecco i criminali identificati da Scajola». Il consueto testo in prima pagina di Maria Novella Oppo, che ha sempre contato quanto la striscia rossa, quanto Staino nell’identificare quel giornale - unico, allora, nella stampa italiana - quel giorno cominciava così: «Li chiameremo i ragazzi di Genova, quelli che a migliaia sono tornati a casa dal loro straordinario week end di paura».

Ammettiamolo: nessuno di noi, con un simile giornale, si è messo in luce come affidabile membro di classe dirigente di questa Italia.

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